lunedì, giugno 09, 2008

La Caravella scomparsa

Le seguenti informazioni provengono da vari siti web dedicati alla subacquea e all’archeologia subacquea. Visto il mio interesse con relitti e sub ho tentato di approfondire questo pezzo di storia che, secondo me, è sempre interessante…

Per quattro anni ricercatori, esperti e tecnici, ma anche istituzioni politiche, si sono confrontati in maniera serrata, talvolta persino burrascosa, per venire a capo di un mistero storico-scientifico dalle incalcolabili ricadute economiche. Oggetto del contendere un relitto individuato nel 2000 sul fondo dell'oceano Atlantico, al largo delle coste di Panama, che avrebbe potuto essere quello della Vizcaina, la più piccola delle caravelle che Cristoforo Colombo utilizzò nel suo quarto e ultimo viaggio alla “scoperta delle Indie” nel 1502.



Diciamo subito che, recentemente, il verdetto è stato negativo e per sancirlo è intervenuta addirittura la Corte suprema panamense che ha così messo fine alle discussioni e anche, forse soprattutto, alla diatriba commerciale che fin dalla notizia del ritrovamento si era scatenata nella comunità scientifica internazionale e tra i cacciatori di tesori di mezzo mondo. Ma secondo molti esperti, dietro ai quali si celano invidie e gelosie professionali nonché enormi interessi economici, i dubbi restano ancora tutti in piedi ed è facile prevedere che la querelle continuerà ancora per molto tempo visto che le tesi a favore, al pari di quelle contrarie, possono disporre di molti elementi a loro sostegno.
Il relitto, afferma la sentenza basata anche sulle analisi effettuate da Abraham Lopez, archeologo dell'impresa specializzata “Marine Investigation”, un gruppo privato americano che sta riportando alla superficie i reperti rimasti per quasi 500 anni sul fondo del mare e incaricata del recupero dallo stesso governo panamense, appartiene ad una nave che stazzava tra le 400 e le 800 tonnellate, mentre la Vizcaina era molto più piccola, stimata sulle 70 tonnellate.
Le caravelle di Colombo erano indubbiamente piccole e maneggevoli; si usavano nei viaggi di esplorazione perché si potevano manovrare facilmente e, avendo poco pescaggio, erano particolarmente adatte a risalire i fiumi. Inoltre, la datazione dell’affondamento è stata fatta risalire ad un periodo compreso fra il 1515 e il 1550, molto più tardo quindi rispetto alla data certa della fine della Vizcaina che, stando ai diari della spedizione colombiana, avvenne il 23 aprile 1503.

Ebbene, le due argomentazioni appaiono in netto contrasto con tutto quanto finora era stato accertato dagli studiosi, a cominciare dallo stesso direttore del Patrimonio artistico panamense, Carlos Fitzgerald. Questo apre un inquietante capitolo sui possibili retroscena della decisione della Corte visto che sul relitto era in corso un braccio di ferro tra il governo panamense e la Marine Investigation,
L’accordo col governo di Panama prevede la consegna alle autorità del 35 % del ricavato (dai diritti cinematografici ad ogni altra possibile fonte di entrate) e il governo ha il diritto di «prima scelta»: può cioè acquistare «a prezzo di mercato» qualsiasi reperto trovato dai sommozzatori americani. Ma proprio la vaghezza dei termini dell’accordo è all’origine della disputa. Quanto può valere un cannone proveniente da una delle navi di Cristoforo Colombo? Chi ha l’autorità di stabilirne il prezzo?

Recupero di un cannone

Anche per questo, nel maggio 2004, le autorità di Panama avevano deciso di dare una sterzata dichiarando il sito del relitto «patrimonio culturale» con la conseguenza che nessun oggetto di valore storico avrebbe potuto lasciare l’area. Nel novembre 2004, poi, il verdetto, che dovrebbe allentare l’interesse su un relitto che, a questo punto, non avrebbe più un rilevante valore economico. In pratica, il governo, dopo tanti sforzi, si ritroverebbe con un pugno di mosche in mano e lo stesso avverrebbe per la società di ricerca. Ma il discorso, come detto, non sembra proprio chiuso. Vediamo perché, cominciando proprio dalla storia della nave quale ci è stata tramandata dai documenti ufficiali.

Per quello che si sarebbe poi rivelato come il suo ultimo viaggio al di là dell’Atantico, Cristoforo Colombo era salpato da Cadice il 9 maggio 1502 con una flotta composta da 150 uomini e quattro caravelle: l’ammiraglia Santa Maria, la Santiago de Palos chiamata ''Bermuda'', la Santo detta ''Gallega'' e la Vizcaina. Scopo del viaggio la ricerca di quello che lui riteneva potesse essere lo stretto che collegava la terraferma asiatica al mare delle Indie. La navigazione, dopo infinite peripezie, tra cui lutti, diserzioni, un ammutinamento e la perdita o l'abbandono di tutte e quattro le caravelle, si protrasse su altre navi e canoe fino al 7 novembre 1504, quando Colombo si convinse a rinunciare all’impresa e a far ritorno in Spagna con una caravella noleggiata a Santo Domingo.

La Vizcaina era affidata a Bartolomeo Fieschi, giovane avventuroso di nobile famiglia genovese. A bordo vi erano otto marinai scelti, un nostromo, due gentiluomini genovesi, un privato cittadino appartenente alla casa dell'Ammiraglio, un cappellano, nove mozzi e un paggio.
Nell'aprile del 1503 Colombo, abbandonata la foce del rio Belen dove aveva già perso una caravella, la Gallega, per un attacco degli indigeni Guaymi, decise di abbandonare le esplorazioni e di fare ritorno a Cuba. Ma la Vizcaina aveva già la carena perforata dalle teredini, i molluschi marini che distruggono gli scafi in legno, e quindi venne abbandonata, dopo essere stata spogliata di tutto, “nella baia di Porto Bello”, l'antico nome del porto di Nombre de Dios, secondo il diario di viaggio di Fernando, il figlio di Colombo. La nave, quindi, non rimase vittima di un naufragio o di un incidente particolare e questo coincide con l’ottimo stato di conservazione del relitto. La Vizcaina affondò lentamente, rimanendo integra, fino a posarsi in posizione orizzontale sul fondale.
Sabbia e fango hanno poi collaborato all'opera di conservazione.
E proprio le teredini costituiscono una delle molteplici prove portate a sostegno della identificazione del relitto. Il problema era ben noto ai maestri d’ascia che infatti erano soliti ricorrere al catrame per proteggere il fasciame dagli effetti devastanti del “Teredo navalis”. Il legname del relitto risulta ricoperto proprio di catrame e perciò costruito certamente prima del 1508 quando, constatata la rapida deteriorabilità del sistema di protezione, un decreto dei Reali di Spagna stabilì che tutte le imbarcazioni dovessero essere ricoperte di piombo per proteggersi in maniera più efficace e duratura dalle teredini.
Per restare sulle modalità di costruzione della nave, un’altra prova dell’identità della nave è il modo di assicurare le varie assi. Ebbene, quelle del relitto risultano fissate tra loro da perni in legno e non in ferro, proprio come risulta fossero quelle delle navi utilizzate da Colombo. Corrispondono anche lo stile di costruzione della nave, la forma dello scafo, caratterizzata dall'estrema piccolezza del castello di prora e il numero degli alberi. La Vizcaina, infatti, a differenza delle altre caravelle di quel viaggio, aveva, proprio come il relitto, solo tre alberi anziché quattro. Tutti elementi che, attraverso i controlli incrociati con i registri navali spagnoli, hanno permesso di accertare che non esistevano altre imbarcazioni con le caratteristiche della Vizcaina.
A questo si aggiunga l’autorevole parere di Carlos Fitzgerald per il quale il relitto apparteneva ad una caravella costruita fra il 1469 ed il 1486, datazione confermata da un autorevole team di esperti di cui fanno parte due famosi archeologi sottomarini della «Texas A&M University», eminenti studiosi sivigliani di Cristoforo Colombo e uno specialista tedesco per la datazione con il metodo del carbonio C-14 dell’università di Kiel.

E veniamo ad altri elementi che farebbero pendere la bilancia in favore dell’identità della nave.
Basandosi sui racconti e sui ritrovamenti effettuati da alcuni pescatori, in particolare palle di pietra per cannoni, nel 2000 il sommozzatore americano Warren White (che da anni stava cercando la Vizcaina) individua dei resti a circa 20 metri di profondità e a poco più di 30 metri dalla riva di fronte alla spiaggia di Playa Dama, vicino al porto di Nombre de Dios, circa 20 km a est della cittadina di Portobelo nella provincia di Colon (il nome ispanizzato di Colombo). Lo scafo della nave, liberato dalla sabbia e dal fango che lo ricoprivano, è risultato praticamente integro: lungo 20 metri, largo cinque, con un tonnellaggio stimato in 50 tonnellate/botti, corrispondenti a 70 tonnellate odierne. Finora sono state recuperate e portate a terra una bombarda, ovvero un cannone che si caricava appunto a palle di pietra, cinque spingarde, una pietra di marmo, simile a quelle che il navigatore portava con sé, un macolo, cioè un contenitore in bronzo per conservare la polvere dei cannoni, alcuni frammenti di vasellame e di recipienti di ceramica.

Diciamo subito che le tracce di olio d’oliva riscontrate su alcune anfore indicano che esso proveniva dall’Andalusia, la regione spagnola in cui Colombo fece costruire le sue caravelle.
Quanto ai cannoni, essi sono risultati datati e numerati e i riferimenti corrisponderebbero a quelli riportati nei registri spagnoli dell’epoca. Due dei cannoni girevoli posti nella fiancata rivolta verso la costa, inoltre, sono stati trovati carichi e pronti all’uso: all'epoca non era consueto ma nel diario di bordo Colombo ha raccontato di esser stato attaccato dagli indigeni e di aver sparato contro di loro e le spingarde trovate nel relitto coincidono con quelle in uso all’inizio del XVI sec. Anche il macolo porta incisi il numero 83 e il segno VIIII che secondo gli studiosi può essere letto come una versione scorretta del 9 romano. Scritte che, come la forma dei cannoni corrispondente a quella delle armi conservate a Madrid, fanno ritenere assai probabile la datazione ai tempi di Colombo.

Eppure tutti questi elementi non sono stati ritenuti sufficientemente probanti dalla magistratura panamense che ha privilegiato altre considerazioni e altre testimonianze. Archeologi che hanno visitato il sito, ad esempio, hanno criticato la “scarsa professionalità” del recupero: la mappa dei reperti trovati è incompleta, gli oggetti sono stati riportati alla superficie in modo frettoloso, alcuni dei frammenti di ceramica risalirebbero alla seconda metà del sedicesimo secolo, le vasche dove sono conservati gli oggetti appaiono non adeguate. Il gruppo di ricerca americano, che non ha mai nascosto che il profitto è il motore principale della sua attività, si è difeso strenuamente dalle accuse, portando anche, come abbiamo visto, le argomentazioni a favore dei responsabili dei beni culturali della repubblica centroamericana. Per il momento il caso è chiuso, ma non si esclude, visto anche il buon ritorno in termini di afflusso turistico che la zona stava registrando, che il governo non trovi un modo per aggirare la sentenza e riportare alla luce un altro pezzo di storia navale… anche un pochino Italiana.

Un Abbraccio a tutti!
Ciao!

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