martedì, settembre 02, 2008

L'arte del Calafataggio

Il Calafataggio
Mentre ero in vacanza ad Ustica, una mattina mi è capitato di vedere sulla spiaggetta del porto, un signore che stava facendo manutenzione al sua barchetta (un tipico gozzo del luogo). Avendo ancora tempo prima dell'inizio delle mie immersioni giornaliere mi sono avvicinato per curiosare cosa stesse effettivamente facendo. Bhe, con mio sommo stupore stava calafatando lo scafo! Era la prima volta che vedevo "dal vero" esercitare questa nobile arte, e mi sono soffermato alcuni minuti per osservare il duro lavoro che stava eseguendo. Non ho voluto disturbarlo più di tanto per non "rovinare" quel momento e per non alterare la sua concentrazione (conoscendo anche il carattere degli isolani Usticesi che non vogliono essere troppo al centro dell'attenzione…) e quindi mi sono messo in disparte ad osservare il grande lavoro.

Arrivato a casa ho voluto approfondire andandomi a leggere qualche cosa in internet… e ho voluto approfittarne per rendere pubbliche le conoscenze su questa Arte che ormai sta scomparendo.

Come sempre, le notizie qui riportate sono recuperate da vari siti e riviste in internet
Per definizione il Calafataggio è "l'operazione atta a rendere stagno uno scafo in legno, riempiendo ogni fessura tra i comenti del fasciame".
In effetti quello che stava eseguendo l'Usticese era rendere impermeabile lo scafo di legno del suo gozzo, introducendo con forza stoppa catramata negli interstizi tra le varie tavole, alcune veramente mal messe, che formano il fasciame.

Il mestiere del Calafato


Alla voce "Calafato" il dizionario riporta "operaio specializzato nel calafatare" cioè nello stoppare e incatramare le fessure di una nave, per renderla impermeabile all'acqua.
Questo mestiere che oggi sta scomparendo, costituiva per molti abitanti liguri (ad esempio), fino a quaranta anni fa una delle principali occupazioni assieme a quella del maestro d'ascia. Il mestiere del Calafato era faticoso e pieno di pericoli sia a causa dei materiali usati in questo lavoro (pece bollente e rame che attirava i fulmini) sia per la scomoda posizione, i forti e continui rumori che portavano alla sordità, le martellate sulle dita e i calli nelle mani.

Ho trovato articoli in internet in cui si dice che le donne di Campiglia raccoglievano fasci di stipa e li portavano ai cantieri. Gli operai facevano una specie di barella e sopra vi mettevano gli sterpi a bruciare quindi li portavano sotto la barca, già calafatata, per annerire il legno.

Successivamente mettevano la pece bollente usando un bastone che aveva sulla punta una pelle di capra: "la lanaà", che non bruciava immerso nella pece bollente e si premeva nei "comenti" a lavoro finito. Dopo la pece si inchiodavano delle pezze di feltro e su queste si sovrapponevano dei fogli di rame fissati con chiodini. (un lavoraccio gente!!)

Gli strumenti


Uno degli strumenti più originali del Calafato è il maglio, una specie di martello di leccio o rovere, a due tese. Era fatto a mano ed ognuno aveva il proprio perché si doveva adattare alla forza e alla lunghezza delle braccia di chi lo usava. Ogni Calafato desiderava che il suo maglio avesse il "ciocco" più sonoro e il contraccolpo più valido di quello del suo compagno di lavoro. Oltre il maglio il Calafato aveva un corredo di attrezzi tra cui una PARELLA, quattro ferri con numero diverso di canale, il CAVASTOPPA, il raschino. Gli attrezzi venivano conservati in una cassetta che si chiamava marmotta.


Questa cassetta misurava circa 43 cm di altezza, 24 cm di larghezza e 17cm di profondità. Da un'apertura a mezzaluna su un lato sì estraevano i ferri del mestiere: dal ferri per pigiare le stoppe, alla stoppe, al maglio, al mazzuolo per picchiare sui ferri, ai pezzi di sughero per tappi e al grembiule per proteggere i pantaloni nel "filare - la stoppa catramata. La marmotta era praticissima perché serviva anche come sgabello di varie altezze a seconda della posizione in cui si metteva in piedi, di costa, di piatto).


Il verbo "calafatare" deriva dal latino "cala facere" che significa fare calore per ripulire superfici incrostate da ripristinare; questa operazione veniva fatta sulle carene delle navi per impermeabilizzarle.

Infatti il fasciame immerso (opera viva) veniva impeciato con bitume per proteggerlo e stagnarlo; periodicamente, per rinnovarlo o per eseguire riparazioni, doveva essere esportata la pece precedentemente applicata con il calore, cioè con il fuoco. Successivamente alla bruciatura, si eseguiva la chiusura stagna delle commensure delle tavole con stoppa cacciata dentro a forza, ed in seguito la carena veniva ricoperta con pece calda stesa con rudimentali pennelli, costruiti con pelli dl pecora legate ad un bastone ed immersi nelle pece calda liquefatta in un paiolo sopra un braciere.

Le attrezzature per fare calore erano: fascine dl stipa da ardere, le fraschiere (gabbie di ferro per contenere fascine ardenti che tenute vicino alla carene, bruciavano la vecchia impeciatura), un tripiede per il fuoco, una caldaia per le pece, un ramaiolo per raccoglierla dalla caldaia ed un imbuto per impecire le commensature delle tavole dl ponte, lanate (cioè quella specie di pennelli fatti di pelle dl pecora).

Nei cantieri e negli arsenali i calafati erano maestranze tenute in grande considerazione.
Per la qualifica di stagnatore di vie d'acqua, il calafato, insieme al carpentiere, veniva imbarcato in numero vario sulle navi, soprattutto su quelle da guerra per intervenire prontamente a chiudere le falle provocate dalle palle di cannone dei cannoni nemici. Nelle navi durante il combattimento il calafato era sempre pronto a chiudere eventuali vie d' acqua, con lastre dl piombo, uova di struzzo e simili.

Le uova di struzzo erano grossi tappi in legno a forma conica usati per chiudere i fori nel fasciame provocati dalle palle di cannone.

Il calafataggio veniva eseguito nel seguente modo: dati i forti spessori delle tavole di fasciame le commessure venivano allargate per alcuni metri con lo scalpello posto perpendicolarmente alle tavole, poi con un raschino ad uncino chiamato "maguglio" veniva asportata la vecchia calafatura, se esisteva.

Successivamente a colpi di maglio sul fuoco si filava la stoppa catramata per ridurla al giusto diametro e si inseriva la stessa nella fessura con i ferri a palella molto acuti per spingerla il più possibile in profondità.

La stoppa era spinta nel cemento non totalmente ma a segmenti l'uno di seguito all'altro in rapida successione di colpi di maglio ben assestati sulla testa del ferro.

Preparati così alcuni metri si ripassava sempre con palella e spingere tutta la stoppe ed a premerla; a volte con le profondità della commensura era necessaria anche una seconda passata di stoppa.

Finita l'operazione con le palelle, la stoppa doveva essere compattata all'interno con ferri dal taglio largo chiamati "calca stoppa". Questi ferri portavano nel taglio una rigatura e canale, semplice doppia o tripla secondo le larghezza della commensura. Anche questo lavoro di pressatura avveniva a colpi di maglio e quando la quantità della stoppe era molta e resistente doveva essere eseguita con un ferro calca stoppa simile ad un 'accetta senza taglio con manico chiamato "paterosso" battuto con una mazza di ferro da 3 chilogrammi. Uno degli strumenti più originali del calafataggio è il maglio.
E' una specie di martello interamente in legno con possibilità dl colpire sia da una parte che dall'altra; in prossimità della bocca per colpire vi è un anello in farro che evita le spaccature del legno. Le dimensioni sono 33 cm dl larghezza circa con un manico di 38 cm, il peso è di un chilogrammo. In genere veniva costruito dal calafato stesso, per equilibrarlo alle sue possibilità.


ll rumore provocato dal martello creava sordità e spesso stress nervoso; i calafati, perciò, erano detti "sordi e maleducati". Generalmente il calafato praticava solo quest'arte ma non era raro incontrare maestri d'ascia che sapessero esercitar egregiamente anche il mestiere del calafato. Questi erano gli operai più ricercati.

Dopo aver letto queste informazioni in internet… mi è ritornato in mente il signore che sulla spiaggetta di Ustica eseguiva queste difficili e faticose operazioni al suo gozzo…

Spero vivamente che quel signore sia riuscito a tramandare il suo mestiere a suo figlio o a suo nipote… ma specialmente spero vivamente che sia riuscito a tramandare il suo Amore per il mare e la propria imbarcazione… perché solo così si riuscirà a preservare il mondo sempre più affascinante del mare e di quello che ci fa imparare…

Un abbracciane a tutti

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